| L’inquinamento uccide, anche a basse dosi Sono le polveri sottili i veri «killer» per la nostra salute. Lo indicano i risultati di un grande studio europeo
Articolo del: 09/12/2013 Autore: Luca Carra
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Sulla chiusura ufficiale dell’anno dell’aria, tenutasi a Strasburgo, cade come un macigno un nuovo studio che ha esaminato concentrazioni di polveri e ossidi di azoto e mortalità a lungo termine in 13 località europee. Brutte notizie, e piuttosto solide. Brutte, perché lo studio dice che all’aumento di 5 microgrammi/metro cubo di polveri sottili (PM2,5) il rischio di morire anzitempo cresce del 7% (GUARDA - I livelli di PM2,5 nelle città italiane). Si badi bene: per ogni 5 microgrammi in più. Visto che fra le 13 località esaminate ce ne sono alcune (soprattutto nei Paesi nordici) che non raggiungono la media annua di 10 microgrammi/metro cubo di PM2,5, mentre altre (come Torino e Varese) superano i 30 mg/m3, la differenza di 20-25 ug/m3 si traduce in un aumento del rischio per i torinesi e i varesotti del 30-35% rispetto ai cittadini finnici, che pure non ne sono esclusi. Anche a esposizioni molto basse, infatti, si nota un effetto sulla mortalità. Ciò non toglie che vi sia una bella differenza fra città più e meno inquinate, che si può trasporre anche in Italia, per esempio fra i centri della pianura padana, da Milano a Torino, da Brescia a Mantova) e le cittadine del Centro-Sud meno trafficate e afflitte da polveri e gas. Fra i due estremi considerati nello studio europeo stanno le altre città indagate, fra le quali Roma, San Sebastian, Atene, Oxford e altre località in Svizzera, Svezia, Norvegia, Francia, Paesi Bassi. LO STUDIO «ESCAPE» - Perché proprio queste e non altre? Perché in quelle aree sono stati arruolate decine di migliaia di persone in uno studio che dura da anni e di cui questa indagine è solo l’ultima in ordine di tempo: lo studio «ESCAPE» (European Study of Cohorts for Air Pollution Effects, coordinato dalla Università di Utrecht in Olanda) ha seguito in media per quattordici anni 22 coorti di popolazione europea (concentrate in 13 città), per un totale di 367.251 partecipanti. Nel periodo considerato ha contato 29.076 decessi, di cui una parte si deve all’inquinamento dell’aria. Ciò che rende estremamente solido e credibile questo risultato è che questa popolazione campione è stata messa in relazione con i livelli annui di inquinamento per le polveri (PM2,5 e PM10) e per gli ossidi di azoto in base alla residenza e alla vicinanza o meno a strade trafficate. Non solo: di queste persone sappiamo anche quanti fumavano, bevevano alcolici, quanto pesavano, qual era il loro livello di colesterolo, la loro pressione, quanta frutta mangiavano, che livello di studio avevano e se lavoravano o meno. In questo modo è stato possibile correlare le morti alle concentrazioni di inquinanti in prossimità delle residenze, e correggere i risultati in base alle abitudini di vita e allo status sociale, che influiscono su salute e longevità. POLVERI SOTTILI - Da qui il risultato, non particolarmente significativo per gli ossidi di azoto e per le polveri più grossolane, molto chiaro invece per le polveri fini: più 7% di mortalità generale per ogni aumento di 5 microgrammi/m3. Sono loro i veri killer. Il risultato è valido a qualsiasi livello di esposizione, per quanto basso sia; quindi anche per le località che si trovano ben al di sotto dei limiti di legge dettati dalla direttiva europea (per il PM 2,5 è 25 ug/m3). I limiti di legge, quindi, che peraltro molte città italiane superano decine di volte all’anno, non proteggono dall’inquinamento. Per risparmiare davvero in vite umane e malattie (come tumori, insufficienze respiratorie, ictus e infarti) bisognerebbe portare le polveri almeno a rispettare i limiti dettati dall’Organizzazione mondiale della sanità, che per le polveri sottili sono 10 microgrammi/m3. Un bel salto, per il quale ci vorrebbero misure straordinarie e strutturali, sia sul traffico sia sulle emissioni industriali, delle centrali termoelettriche e degli impianti di riscaldamento. Lo studio «ESCAPE», pubblicato su The Lancet di questa settimana, è frutto di una collaborazione fra i quaranta più importanti centri scientifici europei, dall’Imperial College di Londra al Creal di Barcellona, al Karolinska Institutet di Stoccolma. In Italia, lo studio è stato condotto a Roma dal Dipartimento di Epidemiologia del Lazio, a Torino da Città della Salute e della Scienza e dall’Università, e a Varese dall’Istituto Nazionale Tumori di Milano, per un totale di circa 31mila persone. Hanno collaborato anche le Agenzie ambientali dell’Emilia-Romagna e del Piemonte.
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